Visualizzazione post con etichetta famiglia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta famiglia. Mostra tutti i post

domenica 24 settembre 2017

Un ricordo

© Marco De Angelis
Come nel disegno dell'amico Marco De Angelis, i lettori della Gazzetta di Parma hanno letto, sabato, della scomparsa del mio papà, Giovannino Spinazzi.
Era, è stato un grande agricoltore.
Mi piace ricordarlo anche qui sul mio blog con l'articolo (in fondo alla pagina) e questa immagine che ho tratto dall'intervista che gli avevano fatto per il filmato in difesa del territorio, per l'ambiente “Il suolo minacciato”regia Nicola Dall’Olio.
Lo si può vedere dal minuto 20.30, dove parla della sua terra.
Il film pur essendo del 2009 viene tuttora proiettato per denunciare la continua cementificazione del territorio.

Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles
Negli ultimi anni nella pianura padana si sono perduti migliaia di ettari di suolo agricolo ad opera di una dilagante espansione urbana ed infrastrutturale. Nella sola Food Valley parmense, luogo di produzioni agroalimentari di eccellenza, lo sprawl urbano, con i suoi capannoni, le sue gru, le sue strade, il suo cemento consuma un ettaro di suolo agricolo al giorno minacciando la sostenibilità e il radicamento di quelle stesse produzioni. Partendo da questo caso emblematico e paradossale, il film intende mostrare senza veli quanto sta accadendo al territorio e al paesaggio e mira ad accrescere la consapevolezza dell’importanza di preservare una risorsa finita e non rinnovabile come il suolo agricolo. 

Ringrazio commossa tutti quanti ci sono stati vicini.


© GIO/Mariagrazia Quaranta


Il suolo minacciato
Regia Nicola Dall’Olio
Soggetto e sceneggiatura Nicola Dall’Olio
Direttore della fotografia Daniele Di Domenico
Montaggio Renato Lisanti Musica Juan Carlos “Flaco” Biondini
Interpreti Luca Mercalli, Edoardo Salzano, Carlo Petrini, Wolfgang Sachs, Paolo Pileri, Maria Cristina Gibelli, Georg Frisch, Ciro Gardi, Massimo Spigaroli, Michele Bianchi, Luigi Spinazzi, Giovannino Spinazzi, Ferrante Gonzaga
Produzione WWF Parma, Legambiente Parma
Formato miniDV
Durata 46’
Anno 2009

Negli ultimi anni nella Pianura Padana si sono perduti migliaia di ettari di suolo agricolo ad opera di una dilagante espansione urbana ed infrastrutturale. Nella sola Food Valley parmense, luogo di produzioni agroalimentari di eccellenza, lo sprawl urbano, con i suoi capannoni, le sue strade, il suo cemento consuma un ettaro di suolo agricolo al giorno. Partendo da questo caso emblematico e paradossale, il film Il suolo minacciato, attraverso interviste ad esperti come Luca Mercalli, Edoarzo Salzano, Carlo Petrini, affronta i costi e le cause della cementificazione del territorio in Italia con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza dell’importanza di preservare una risorsa finita e non rinnovabile come il suolo agricolo. «Il film, girato quasi per intero nella pianura parmense, è strutturato in 4 capitoli ed un epilogo scanditi da intervalli. Non è un inchiesta giornalistica, ma piuttosto un discorso attorno ad un fenomeno, la cementificazione del territorio e il consumo del suolo, che caratterizza in negativo l’intera penisola generando costi economici ed ambientali a carico della collettività. Questo discorso viene sviluppato senza voce fuori campo attraverso il montaggio di interviste fatte ad esperti di urbanistica e di ambiente e ad agricoltori locali. Il territorio viene mostrato sia dall’alto, con riprese aeree ed ortofoto che illustrano i cambiamenti intercorsi negli ultimi anni, che dal basso, con camera car dei nuovi paesaggi del cemento che si alternano a riprese fisse di lembi di campagna ancora intatta.» Nicola Dall’Olio Opera prima. Il film ha ottenuto la Menzione speciale alla XIII edizione del Festival Cinemambiente di Torino (2010) e ha vinto la prima edizione del ViaEmiliaDocFest (2010).
http://www.assemblea.emr.it/biblioteca/videoteca/Terr-amb/tut-amb/suolo-minacciato


***

venerdì 27 settembre 2013

La Zanzara punge Guido Barilla

L'intervista* di Guido Barilla a 'La Zanzara' ha scatenato un putiferio sul web.
Guido, intervistato alla radio, risponde come la pensa sulla famiglia, sui gay, sulla pubblicità scelta dall'azienda, rivolta alla famiglia tradizionale.
Consiglio di vedere il video in fondo alla pagina per sentire le sue parole.


Dai non fate così, in fondo sono una pasta d'uomo
Tiziano Riverso

martedì 20 luglio 2010

Mino Damato

"Mino era un uomo che guardava in alto cercando la sua luna senza fare come quelli che si fissano il dito. Il suo sogno era quello di poter interpretare questo mondo scoprendone di nuovi, sia che fossero nello spazio - quello spazio da lui tanto amato e che simboleggiava il futuro e dunque la speranza -; sia che scavasse con gli occhi e con la coscienza nei drammi della storia contemporanea". E' il ricordo dei familiari di Mino Damato, popolare giornalista e conduttore tv, scomparso venerdì pomeriggio.(Ansa)


Pubblicato da Paride Puglia


“Nel Veneto, a Monselice in particolare, ho trovato un aiuto fondamentale per i miei ragazzi. Sono ragazzi che ho trovato nel ’90 nel padiglione B1 dell’ospedale Babes della capitale rumena. Essendo sieropositivi erano praticamente abbandonati e in condizioni igieniche terribili: tutti orfani, in alcuni casi neonati, dormivano gli uni accanto agli altri, a volte sui sacchi della spazzatura, in mezzo ai propri escrementi, o legati ai letti; guardati da poche infermiere, forse le stesse che li avevano infettati praticando a tutti le iniezioni con la stessa siringa. Vederli fu uno choc, come scoprire che non conoscevano la differenza tra un bicchiere e un tazza perché non avevano mai visto né l’uno né l’altro!A loro sono arrivato casualmente come avviene sempre nella vita. Quando nell’89 cadde il regime Ceausescu e il mondo scoprì i suoi terribili retroscena, anch’io come altri mandai degli aiuti, ma mi resi presto conto che niente arrivava a destinazione. Avevo visto su Gente il servizio di un fotografo francese sui bambini di quell’ospedale e mi avevano colpito in particolare gli occhi di una bambina che guardavano al di là della macchina fotografica, oltre. Erano gli occhi di Andreia. Sono partito per cercarla e quando l’ho trovata ne ho ottenuto l’affidamento portandola a vivere con me e mia moglie, in Italia. Poi purtroppo, una dopo l’altra, se ne sono andate.Già quando ho strappato Andreia da quell’inferno mi sono reso conto che ne salvavo una e me ne lasciavo alle spalle altri 99 e quello è stato per me insopportabile. La nostra professione ci porta ad essere cinici, ma credo che di fronte alla morte e al dolore un giornalista sia prima di tutto un uomo”.“Da inviato speciale in Vietnam, Cambogia, Afganistan, ricordo soprattutto storie di bambini, drammi che mi hanno ferito profondamente perché non avevo potuto aiutarli. C’è un episodio che mi fece molto riflettere. Nel mezzo di una guerriglia tra Etiopia, Somalia e Kenya mi imbattei in una bambina curata dalla missionaria laica Annalena Tonelli. Era cieca per mancanza di vitamine, così istintivamente affittai un piccolo aereo per mandarla a curare a Nairobi. Dopo un anno tornai a trovarla: ora ci vedeva, anche se soltanto ombre. Poi però mi chiesi se avevo fatto veramente il suo bene o se le avevo solo dato la speranza di una vita che migliore non era… Vidi dove viveva, con la nonna, sotto le frasche tenute su da bastoni, loro due da sole in mezzo alla savana popolata dai leoni. Allora capii che non si poteva aiutare qualcuno a metà”.“Tornando alla Romania…Entrare in contatto con quegli orfanelli sieropositivi mi ha spinto a fare di più. Ho saputo poi che il regime invitava le ragazze madri a partorire e ad abbandonare i neonati negli istituti: il dittatore- due lauree honoris causa ricevute a Bologna- diceva che quelli erano figli suoi e probabilmente li voleva per indottrinarli: i nostri bambini erano ancora troppo piccoli per fargli il lavaggio del cervello, anche se comunque sono stati istituzionalizzati. I medici (non solo quelli rumeni) dicevano che entro il 2000 sarebbero morti tutti. Così sono tornato, prima che mia figlia se ne andasse: la morte di Andreia non ha aggiunto niente e io non cerco lei in loro, perché una cosa è la mia vita privata e un’altra l’impegno che mi sono assunto”.“La mia fondazione Bambini in emergenza ha creato una struttura ospedaliera. Abbiamo una scuola nell’ospedale, abbiamo Casa Andreia proprio lì dove incontrai i primi ragazzini, con gabinetto di stomatologia e odontoiatria, palestra per riabilitazioni e farmacia; e a 40 km da Bucarest abbiamo il centro pilota di Singureni per la cura e l’assistenza e la ricerca per orfani colpiti dall’HIV. Contiamo anche di favorire la formazione professionale dei più grandi e di agevolare il contatto con gli animali e con il lavoro dei campi.E per dimostrare che volendo si può, la Fondazione ha vinto una scommessa proprio nella civilissima Roma. Il policlinico Umberto I aveva in programma la costruzione di un nuovo padiglione da 12 stanze: costo preventivato tre miliardi e mezzo di lire, tempi di attuazione tre anni. L’abbiamo fatto noi con 144 milioni, arredi compresi, in 34 giorni. Sono questi bambini ad averci insegnato a non perdere tempo”.“Smettere di fare il giornalista ha creato forse il vuoto attorno a me. Anch’io diffido delle grandi scelte, a meno che non si tratti di santi o di missionari. Credo di aver superato il limite: uno scrittore queste cose le racconta, non le fa. Ho rotto invece questi tabù…”“Ti racconto un altro episodio, la mia più breve intervista. Avevo invitato su Raitre a “Alla ricerca dell’arca” una ragazza siciliana violentata da venti coetanei. Lei ha esordito dicendo “La mia vita è finita in quel momento” e io lì ho chiuso quell’incontro. Cos’altro potevo dire? Molti anni prima, durante la guerra d’indipendenza del Pakistan orientale giravo in un campo profughi quando vidi un bimbo che stava morendo. Potevo forse continuare a filmare? E’ meglio documentare per far sensazione o fare il possibile per salvare una vita? Un medico disse che una bombola d’ossigeno l’avrebbe salvato, ma all’ospedale non me la vendevano perché l’avevo chiesta per un profugo, così dissi che serviva a mio figlio e la ottenni. Quando tornai il bambino era già morto”. Mino D'Amato (scrittore 2003)

(foto roberto brumat)

Mino Damato all'anagrafe Erasmo Damato (Napoli, 1º dicembre 1937 – Roma, 16 luglio 2010) è stato un famoso giornalista e conduttore televisivo italiano.
Da leggere anche l'articolo di Luca Boschi
Bambini in emergenza

Peccato che tanti lo ricorderanno solo per la sua camminata sui carboni ardenti e non per la sua continua ricerca tra i drammi dell'assurdità delle guerre, che lui ha testimoniato in prima persona, e quelli individuali che lo hanno portato a scegliere con amore assoluto la sorte dei bambini meno privilegiati". Breve e doloroso, vissuto con grande intensità, il rapporto con Andreia, che, "per una scelta non formale ma di cuore", diventò sua figlia e la cui breve esistenza "illuminò la sua, anche quando gli occhi di Mino lasciavano trapelare la sua malinconia".

Damato, sottolinea ancora la famiglia, "ha molto vissuto da esploratore e pioniere mediatico, scientifico e anche politico e si è esposto al giudizio e alle critiche, spesso ingiuste, che vengono indirizzate solo a chi non vive di conformismo e banalità. Ha sempre indicato una strada davanti a sé. Non tutti hanno avuto il coraggio di seguirla. La sua solitudine è stata un segno distintivo di questi tempi aridi".

'''Guardare oltre con coraggio, determinazione e passione è l'esempio che ha lasciato".